giovedì 28 gennaio 2010

Si son fatta l'Italia

Sempre pronti a saltare sul carro del vincitore, essendo dei perdenti nati. Son fatti così quelli di sinistra. Prima boicottano Vendola intimandogli di togliersi dai piedi – missione in cui D’Alema primeggia, visto che nella sua vita politica fa solo paura a se stesso per via di tutte le sconfitte subite – e poi sostengono il vincitore delle primarie pugliesi.
Ci vorrebbe un manuale di psichiatria. Invece basta sentire Violante e Bersani che sostengono il candidato della sinistra. Sì, ma non del Pd, sconfitto amaramente.
Vendola è una persona che con la politica non c’entra nulla. Sembra il buon samaritano. Quando lo ascolti pare di sentire il Bondi di sinistra. Sempre cortese, educato. Mai una parola sopra le righe. Senza aver compreso che nell’epoca di sua impunità senza vergogna – che gira per l’Italia indossando parrucchini e dimenticandosi poi di attaccarseli alla pelata – l’educazione fa rima con prostrazione. Non si può affrontare un uomo senza regole col savoir faire. Bisogna combattere ad armi pari. Nella Puglia che prima fu di Fitto – scappato in parlamento per paura di finire in carcere e ben sapendo che lì a Montecitorio è in ottima compagnia con chi è ricercato dalla giustizia – e ora di Vendola circola un’aria di santità. Il volto buono del compagno Nichi, con l’immancabile orecchino e quella pettinatura da bravo ragazzo, ha dato inizio ad una campagna elettorale senza partiti. Chi ha scelto Vendola ha visto la persona prima del partito. Dimenticando, però, le scelte sbagliate fatte sulla sanità. Ma si sa, in Italia i malati – diceva Carmelo Bene – devono dare da mangiare ai dottori, non essere guariti. Imperativo categorico di tutte le asl d’Italia.
E mentre Casini – da buon democristiano – cerca la pagnotta a destra e a sinistra, avendo appreso l’arte da quel genio della politca di Mastella da Ceppaloni, meglio noto come il ministro dall’indulto facile, i servi del Cav. scrivono le leggi per il capo per proteggerlo dal carcere.
Il Parlamento dei nominati scrive le leggi ad personam dopo essersi ben predisposto ad pecoram al cospetto del capo che ha un debole per quella posizione, come le donnine da lui ospitate nei vari lettoni hanno testimoniato nei mesi addietro.
Tutti gli italiani hanno gioito per le nozze della Gelmini, prossima mamma. Si sono svolte di notte. Si temevano agguati di prof incazzati e pronti a scaraventare sulla furba ministra, diventata avvocato chissà come, non riso e fiori ma decreti legge col licenziamento in tasca.
Le cronache raccontano di un Tremonti pieno d’orgoglio per la sua finanziaria. È riuscito lì dove la Grecia ha fallito: a raccontare balle spacciandole per vere. Uno come lui potrebbe rischiare di diventare il prossimo clown in tour per il mondo a vendere sorrisi e speranze dell’Italia. Con la faccia di bronzo che si ritrova e quella voce intonata le platee lo accoglierebbero con molto entusiasmo.
Infine D’Alema. È riuscito a prendere il posto che era di Rutelli. Ora si vanta di essere il presidente del Copasir. Lui che conosce il silenzio, tranne quando diventa lo zerbino di Silvio, assicurerà un’ottima protezione ai servizi segreti. Un posto di guardia per chi ha considerato sua impunità un padre della patria, offrendogli protezione e servigi, come un tempo facevano i vassalli con i loro signori. Ma quelli, erano altri tempi.

domenica 24 gennaio 2010

UFO BRUNETTA

Che Brunetta sia un ministro nessuno lo sapeva fino a quando non si è inventata la favola dei fannulloni. In un Paese governato da uno che si sta ritagliando su misura le peggiori leggi per sfuggire ai guai giudiziari legati alla sua vita da imprenditore – quando rubare era lecito, ma tanto lo facevano in tanti e quindi c’era sempre un Bettino pronto a correre in aiuto – uno come Brunetta sembra ufo robot. Un uomo che pensa come se vivesse in un altro Paese e che si è messo in testa di rovesciare come un calzino la pubblica amministrazione.
È un uomo alienato, il povero ministro Brunetta. Tutti noi sappiamo quanto sia deficitaria l’amministrazione del nostro esiguo stato e come sia facile superare un concorso pubblico se conosci qualcuno, al di là dei tuoi meriti ma in virtù dei demeriti acquisiti sul campo.
Il veneziano Brunetta ci tiene agli schei. Viene da una famiglia umile. Ha faticato per diventare docente e se non avesse scelto Berlusconi come suo alter ego ora leggeremmo il suo nome tra i premi Nobel per l’economia. Che spreco il suo stare nel Palazzo!
Ma tant’è che il nostro ministro ha ingaggiato una dura lotta contro chi pensa di vivere dello stipendio statale facendo il furbo. A sentir lui in un anno le cose sono cambiate drasticamente. A detta dell’uomo della strada che frequenta gli uffici pubblici più di quanto faccia il ministro il lassismo è quasi raddoppiato. Ma si sa, con i numeri si fa politica. Tremonti si è costruito una carriera a furia di dare i numeri e interpretarli sempre secondo le magnifiche sorti e progressive.
Il nostro ufo robot ora è passato al contrattacco con i bamboccioni. Pensa che debbano essere cacciati di casa. Debbano trovarsi un lavoro. Rifarsi il letto e diventare uomini come si deve.
Da ministro a pedagogista è un passo notevole. La statura del nostro ministro è quella che è, deve pur alzare la voce per farsi vedere e sentire.
Ma stavolta è incappato in un errore madornale. I bamboccioni non esistono, caro ministro e prossimo sindaco in pectore di Venezia.
Esistono persone che lavorano con stipendi da fame e con buste paga finte.
Esistono giovani che si spaccano le mani e altro pur di guadagnare qualcosa.
Esistono plurilaureati e plurispecializzati che viaggiano nei paesi europei perché da noi la casta dei professori universitari li umilia e li tratta come servi.
Si aggiorni, caro ministro.
E soprattutto non insegni agli altri come dover fare. Lei è solo un ministro, un servo dello stato. Non è un padre costituzionale o un pater familias.
Stia nei ranghi e si contenga, come direbbe il suo presidente.

lunedì 11 gennaio 2010

MI CONSENTA, CRIBBIO!

Il 2010 è iniziato da appena sei giorni e la smentita è arrivata puntuale. Ne sentivamo la mancanza, lo confessiamo spudoratamente. Forse è giunta anche in ritardo, ma si sa con le feste è lecito anche procrastinare l’attività che gli riesce meglio.
Mentre si aggira per supermercati incerottato e felice ché i prossimi novanta giorni porterà i segni del miracolo di piazza Duomo visibilmente collocati sul viso sempre sorridente anche nei periodi più bui della sua esistenza, sua impunità senza vergogna, il cavaliere dell’amore perduto ha fatto sentire la sua voce per dire che questo è l’anno in cui finalmente le tasse caleranno. Non è trascorsa nemmeno mezzora che subito la smentita ha invaso l’Ansa e l’ansia di dire che non era vero. Tutta colpa dei soliti giornalisti fannulloni.
Si sarà fatto prendere dal pandoro e dallo champagne che lo hanno distratto per qualche ora dalla gravissima crisi economica che minaccia il Paese. O forse era con la mente nei paradisi fiscali, molto frequentati dalla sua famiglia.
È stupefacente - quest’aggettivo lo rende anche molto solidale col significato traslato dello stesso - sentire un presidente del consiglio e non vedere costantemente il suo volto.
C’eravamo abituati al suo eloquio gentile, raffinato quando urlava e minacciava i nemici politici. O quando appellava i magistrati con parole da vero signore.
Ora ci riesce difficile sentirlo mansueto, calmo, sorridente e pacato.
Non è più l’uomo di Arcore, quello che ancora un mese fa diceva, in una seduta del partito popolare europeo, di avere le palle.
Da quando è convalescente sembra prodizzato. Un epigono di Prodi al negativo.
Capace di mettere il silenzio di stato sul più grave scandalo di intercettazioni mai visto in una democrazia occidentale. Roba che se ci provasse Obama sarebbe massacrato dai repubblicani e costretto ad emigrare in Siberia. Ma qui avviene sotto il silenzio del Napoletano che dorme beato e che ammorba gli italiani col suo eloquio sterile e pieno di luoghi comuni. E del Pd, sempre più succursale del Pdl e capace di far diventare Silvio come Bettino: un uomo di stato, indipendentemente dalle sentenze passate in giudicato. Quelle son cose delle toghe rosse. Meglio il silenziatore. E per chi osa parlarne c’è sempre un cane da guardia di nome Feltri pronto ad aggredire, sputtanando, l’innocente di turno. Salvo poi confessare che per lui il falso è sinonimo di vero. Un ottimo allievo del suo padrone.

domenica 10 gennaio 2010

Un Latitante scambiato per statista

Mentre negli anni Novanta “via Craxi” era un caloroso invito a farsi da parte per chi aveva ritenuto, maldestramente, di utilizzare la politica per i propri affari personali, alle soglie del 2010 il mondo politico nostrano si preoccupa di dedicare una via al latitante di Hammamet.Milano sembra essere la città designata. La Moratti, che di politica ne capisce quanto Donadoni di calcio, è convinta che in questo modo si possa restituire dignità ad un uomo che ha segnato il destino del nostro Paese.E certo. L’uomo in questione è stato il capofila della degenerazione e del malcostume della politica degli anni Ottanta. Le tangenti, le raccomandazioni, il disavanzo pubblico, il deficit fiscale. Uno statista di alto livello. Pronto a scappare in Tunisia quando sapeva che il carcere era la sede per scontare reati gravissimi per sentenze passate in giudicato.Ma tanto si sa. Siamo il Paese dove tutto è possibile. Se abbiamo un presidente del consiglio che, dopo avere per anni insultato e minacciato gli oppositori politici, ora si è deciso a rifondare il partito dell’amore di ciccioliniana memoria vuol dire che nei prossimi anni sentiremo parlare di Bettino Craxi come dell’unto del signore. Colui che si è sporcato le mani, ma solo perché lo facevano anche gli altri. Senza avvertire uno scatto d’orgoglio civile e morale per la tangente diventata parte del sistema politico. Senza prendere le distanze dai suoi amici, ma pronto ad alzarsi in parlamento e fare il discorso del secolo solo per dire che se ti mettono una pistola alla tempia sei costretto a fare anche ciò che solitamente eviteresti. Un modo machiavellico per dire della necessità del rubare alle spalle dei dipendenti pubblici e privati, costretti a lasciare in eredità ai loro figli un debito di 30.000 euro per la polita alla puttanesca del nostro statista milanese.La boiata che vogliono farci bere è che Craxi era solo un capro espiatorio. Cioè la povera vittima di un sistema che aveva complicità ampie. Sappiamo, dalle indagini del pool di Mani Pulite, che non è stato propriamente così. Nella Milano da bere il Psi era il capofila nella gestione e nell’indirizzo delle tangenti.Ma oggi quando si dice la verità si rischia di passare per l’ultimo dei Massimo Tartaglia in circolazione.Non vogliamo che a Craxi sia intitolata nemmeno una tangenziale, come prospetta ironicamente Travaglio.Vogliamo semplicemente che lo si ricordi, qualora fosse possibile una lapide in una pubblica strada, come il latitante furbo e mariuolo, pronto a scegliersi anche il successore nella persona di sua impunità senza vergogna, al secolo Silvio cavaliere dell’amore perduto.

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